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Aspetti soggettivi dell’insegnamento

in Articoli tecnici e culturali, Lombardi

Insegnare, qualsiasi cosa essa sia è un compito difficile.
Vi sono diverse variabili che concorrono a realizzare un insegnamento di ottima, di sufficiente o di dubbia qualità.

Un parametro importante è senz’altro legato al tipo di conoscenza specifica della materia che si deve trasfondere. L’altro aspetto ancora più rilevante è determinato dalla soggettività dell’insegnante, dal suo modo di essere, da come si pone, in che modo aiuta, prepara, assiste e motiva i suoi allievi, scolari o discepoli.

In ambito sportivo spesso, si dice che non sempre un valido agonista riesce ad essere parimenti un valido maestro. Perchè questo? Come mai una persona che ha vissuto tante esperienze agonistiche con tutti e retroscena legati alla preparazione fisica, a quella specifica, a tutti gli allenamenti correlati col modello di gara e di prestazione, non riesce a far tesoro di questo e sfruttare il binomio campione-insegnante e trasmettere ciò che ha appreso per la formazione di altri atleti di alto profilo?
La spiegazione è più semplice di quanto ci si aspetti. Erroneamente si è portati a credere che chi ha delle difficoltà nell’insegnamento, è una persona che non riesce a comunicare. Questo probabilmente è vero, ma non è il motivo principale, perchè col tempo in questo si può migliorare. L’ostacolo più grande per chi insegna è il seguente: farsi accettare!!

Si può essere campioni del mondo e saliti diverse volte sul gradino più alto del podio, ma se non si trovano i mezzi adatti per essere accettati dal gruppo, col tempo si fa perdere l’entusiasmo iniziale anche in colui che si esalta sentendosi allievo di un leader dal nome prestigioso. E’ scontato e inutile dirlo che il massimo si ha quando il campione riesce a trasferire le proprie conoscenze.
Perchè il farsi accettare viene prima di tutto? E qui entra in ballo in nostro argomento centrale: l’insegnamento dell’arte della “mano vuota”.
Per fare un parallelo che chiarisca ancora una volta il concetto, portiamo come esempio uno scolaro che non si trova bene con il professore di Italiano. Egli non smetterà certo di studiare, ma non sfrutterà al massimo le proprie capacità perchè inevitabilmente ci sarà sempre una barriera tra lui e il suo insegnante. Se invece il professore riesce a farsi accettare, il suo allievo studia più tranquillamente, senza nessun problema. Il rifiuto infatti non è per la lingua italiana, bensì per il professore di italiano.

Farsi accettare completamente da tutte le componenti di un gruppo è quasi impossibile. Questo non deve però diventare un alibi per chi insegna.
La capacità di farsi accettare o meno dal gruppo, è purtroppo soggettiva. Pertanto, un insegnante tecnico di karate deve possedere qualità che nessun corso multimediale, psicologico, psicopedagogico gli potranno mai dare perchè, quello che dice, che fa, che sviluppa, che racconta e il modo come lo propone, dipendono esclusivamente dalla sua soggettività e dal suo modo di essere. I corsi sono importantissimi, ma solo per arricchire, creare o accrescere le conoscenze generali e specifiche e potenziare le basi tecniche per l’insegnamento. Posso essere un’enciclopedia vivente, ma se non so come trasmettere le mie conoscenze tutto il mio sapere non serve a nulla.

Prima, non a caso ho usato il termine generico, “Insegnante Tecnico di karate” per rafforzare il concetto che molti aspetti dell’insegnamento prescindono dalla qualifica, e un allievo può trovare una spinta motivazionale e una voglia di fare maggiore nella lezione di un Istruttore che di un Maestro, anche se il primo ha o dovrebbe avere a rigor di logica, meno conoscenze specifiche e meno esperienza del secondo.
La complessità di questi aspetti legati all’insegnamento in genere e a quello specifico del karate, non vuole essere né scoraggiante, né disarmante.
Fatto sta che l’insegnamento non va preso alla leggera, perchè è un compito importante e di grossa responsabilità e nulla deve essere affidato al caso. Se col trascorrere del tempo e degli anni, l’insegnante riesce a gestire in modo da farsi accettare dalla maggior parte del gruppo, in lui ci sarà stata una sensibile crescita sotto tutti i profili, non ultimo quello più importante: riuscire ad insegnare il karate orientandolo verso la comprensione corretta della disciplina dal punto di vista tecnico e filosofico.
L’insegnante che riesce a creare questa realtà sta svolgendo un buon lavoro, che nell’ambito della disciplina formerà atleti e praticanti che credono ciecamente in lui, lo stimano e lo ammirano. Quelli che decideranno di intraprendere la strada dell’insegnamento, diventeranno con buone probabilità degli ottimi maestri.

Come procedere?

A questo punto, l’unica cosa che ci si può chiedere, è come farsi accettare nell’insegnamento, quali sono i mezzi migliori per trasferire le proprie conoscenze, per coinvolgere continuamente i nostri interlocutori, che siano allievi di sempre o casuali.

Innanzi tutto il maestro non può fingere o vendere fumo.
Anche l’allievo meno scaltro dopo qualche tempo riesce a rendersi conto se il maestro conosce a fondo la disciplina, e se in quello che fa, mette un certo entusiasmo, insegna con gioia e grande volontà di trasmettere il suo sapere. Come l’allievo si rende conto di queste situazioni positive, si accorge anche e soprattutto del maestro che insegna senza convinzione, senza mettere amore in ciò che fa, magari solo per soldi. Quando poi tutto questo è condito con una scarsa conoscenza e un livello tecnico appena sufficiente, si arriverà certamente ad un appiattimento delle lezioni, e lo scarso entusiasmo del maestro sarà trasferito all’allievo il quale si demotiverà fino a che, nella peggiore delle ipotesi, abbandonerà la pratica o se è fortunato e ha capito, si cercherà un altro insegnante.

Il maestro, non deve pretendere da nessuno ringraziamenti per il ruolo che svolge. Per lui è un dovere, assistere, motivare, capire, aiutare i propri allievi. Il maestro deve fare tutto questo per se stesso, e sentirsi appagato dal solo fatto di aver svolto il suo ruolo in tutta onestà e sincerità.
Se il maestro riesce a creare una simile realtà, non avrà nessun problema nell’essere accettato dai suoi allievi. Riuscirà a lavorare in piena armonia all’interno del dojo e trasferire senza difficoltà o sforzi particolari, la conoscenza di cui è in possesso, mettendo a disposizione a chi si è affidato a lui, tutta la sua esperienza, nell’insegnamento di una disciplina definita arte: il karate.

Buona fortuna e buon lavoro a tutti, soprattutto ai futuri Insegnanti Tecnici!

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